Oggi vi parlo di Aztec Tomb, un’ avventura testuale del 1983 scritta in Basic da Antony Crowther per il Commodore 64, sotto il marchio Alligata.
Curioso il fatto che il programmatore in oggetto abbia lo stesso cognome di William Crowther che fu il primo programmatore a creare un’avventura testuale nel 1975 sun PDP-10. Non ho trovato informazioni in rete per capire se ci sono gradi di parentela tra i due.
Pare che Aztec Tomb sia una delle prime avventure testuali per il Commodore 64: grafica semplicissima realizzata senza l’utilizzo di sprite ma solo con il set di caratteri standard petscii e un parser dei comandi molto semplice ed elementare in lingua inglese.
All’epoca avevo solo 6 anni e quel gioco così strano, in cui non capivo cosa bisognasse fare, mi affascinava: rimanevo ore a fissare la prima schermata, in cui comparivano, stilizzati: un tavolo rosso, una finestra con quelli che sembravano dei fiori e una scala a pioli (cosa ci fa una scala a pioli affianco a un tavolo?) con una laconica scritta “posso vedere: tavolo-scala” e subito sotto: “sono in una sala da pranzo”
Un momento: “in UNA sala da pranzo” ?! Era chiaro che il personaggio invisibile, a cui impartivi i comandi non si trovasse a casa propria! Già, ho appena detto una cosa importante: “impartire i comandi”: non si usava un joystick per spostarsi ma bisognava letteralmente scrivere quello che secondo te bisognava fare. Una cosa pazzesca, formidabile, incredibile: dovevi scrivere! Per me fu una rivoluzione del modo di fare i giochi sul computer e adesso aveva anche senso, ed era motivo di sfida, il fatto di avere una tastiera a differenza di chi aveva una consolle Atari 2600 che non poteva permettersi di avere un gioco fatto così!
Tutto poi era ancora più attraente perchè per poter giocare dovevi in qualche modo saper parlare l’inglese, una cosa a cui il bambino di allora si stava abituando da poco imparando le prime parole semplici presenti normalmente su tutti videogiochi: score, player, lives, start, game over, press any key, il vangelo del piccolo videogiocatore non poteva mancare di questi termini essenziali… Ma ad ogni modo giocare ad aztec tomb era tutta un’altra storia (qualche anno dopo qualcuno lo rifece in italiano: la tomba azteca, ma già dal titolo non aveva più fascino).
Chiaramente data la mia età, mi facevo un po’ aiutare dal papà e incominciai subito ad imparare l’utilizzo del vocabolario per cercare di capire il senso delle parole scritte sullo schermo. Tutto questo unito al fatto che all’epoca non c’erano tanti giochi da fare e molti li ritenevo noiosi, mi portò sempre all’accanimento su quei titoli che non riuscivo a capire… perchè DOVEVA esserci un senso.
Con il passare del tempo, a furia di avere quella schermata davanti agli occhi, con quel maledetto tavolo rosso (ma dov’erano finite le persone?) con quella domanda perennemente pronta: “Cosa dovrei fare adesso?” in attesa di un mio comando, con il cursore lampeggiante che era l’unica cosa rimasta viva in quella stanza virtuale… mi venne spontaneo, da bambino, digitare “HELP” : aiuto! Eh già, perchè qualsiasi cosa io scrivessi in inglese, il personaggio mi rispondeva sempre con un: “I don’t understand” che davvero mi faceva innervosire (ma come è possibile che questo non capisce!).
Dopo la mia richiesta di aiuto il personaggio misterioso rispose finalmente con qualcosa di diverso da “io non capisco” e mi disse: “examine then think!” (esamina quindi pensa, con il punto esclamativo alla fine come per dire: PENSA! DANNAZIONE, PENSA!). Credo che sia da questo punto in poi che il mio cervello abbia capito l’importanza del pensare prima di decidere cosa fare.
“Esamina quindi pensa!”. Continuavo a ripetermi nella mente: “esamina”… “esamina”…. “esamina… e quindi pensa” così mi venne il colpo di genio: scrivere una cosa semplicissima: “examine table” (esamina tavolo) e… magia! Ottenni finalmente una risposta che per me aveva un senso: “It’s dusty” (è impolverato). Così cominciai ad esaminare qualsiasi cosa, polvere del tavolo compresa.
Ero riuscito a comunicare col personaggio invisibile, ad avere una sua risposta di senso compiuto: avevo capito come bisognava parlarci! Bastava mettere insieme un verbo con un oggetto.
Continuai quindi con questo sistema, fino a quando digitando “go ladder” (vai scala) non ero finalmente riuscito, dopo mesi, a far cambiare la schermata per ritrovarmi quindi in una soffitta buia. Il fascino del gioco aumentava sempre di più e il desiderio di esplorare le altre eventuali stanze si faceva sempre più grande.
Capii quindi che bisognava spostarsi nelle direzioni disponibili indicate in verde subito sopra la maledetta domanda (exit down, exit south ecc ecc) digitando semplicemente “go down, go south”.
In breve riuscii ad esplorare la casa misteriosa fatta di sole 3 stanze più una cantina nascosta da una botola in camera da letto e la soffitta
Attenzione! Da questo punto in poi, l’articolo potrebbe rivelare degli spoiler per il prosieguo del gioco, quindi se siete intenzionati a giocarci e a venirvene fuori da soli, non continuate a leggere!
Fu molto facile quindi, dopo un po’, capire che bastava esaminare il cassetto nella camera da letto (ma solo dopo averlo aperto!) per trovare la chiave che mi avrebbe poi permesso di aprire la porta in salone e quindi uscire finalmente fuori da quella maledetta casa e poterla ammirare dall’esterno!
Passarono quindi ancora altri mesi per capire che per poter attraversare un fiume a Sud mi serviva un’ asse di legno, che avrei potuto trovare soltanto arrampicandomi sul tetto della casa scrivendo “climb building” (scala il palazzo).
Un attimo! Ok stavo giocando ma… stava accadendo qualcosa di ancora più fantastico, una cosa sulla quale ci arrivo a ragionare soltanto oggi, col senno di poi: man mano che passavano i mesi, il mio vocabolario di inglese si arricchiva sempre più di termini che mi permettevano di proseguire nel gioco e insieme ad essi si accresceva sempre più anche la fantasia, che mi permetteva di capire cosa si celasse davvero dietro quei disegni stilizzati, ma soprattutto mi permetteva di visualizzare quei paesaggi non così com’erano sullo schermo ma fantastici e carichi di mistero nella mia mente, così disarmanti nella loro semplicità.
Credo ci misi qualche anno per completarlo, anche perchè il gioco a volte presentava situazioni assolutamente senza senso: tanto per fare un esempio nella cantina si trova un mantello rosso, il quale se viene esaminato permette di avvertire “una sensazione di potere”.
Ora la questione assurda è questa: se si esamina la cantina non si trova nulla, ma se la si esamina dopo aver indossato il mantello (wear cloak) allora ecco che compare una piccola chiave con la quale è possibile aprire il bauletto trovato in soffitta: un non-sense assolutamente pazzesco senza il quale purtroppo non è possibile proseguire e che di certo ha aumentato di parecchio la longevità del gioco!
All’epoca pensai che quel mantello rosso donasse dei super-poteri, come appunto una vista più acuta che ti permetteva di vedere la chiave! Con questo semplice ragionamento ero anche in grado di spiegarmi il perchè esaminando il mantello mi veniva detta quella questione della sensazione di potere! Insomma, il gioco era quello li e la tua fantasia ci costruiva intorno tutto ciò che gli poteva mancare!
Altro rompicapo, poi, fu quello di capire quale verbo utilizzare per togliersi il mantello di dosso (remove cloak) dato che poi sarebbe servito per distrarre un toro che bloccava l’accesso ad un cancello.
I verbi erano una delle questioni più ardue: capire la differenza tra “drop” (lasciar cadere) e “throw” (lanciare) si rivelò di fondamentale importanza per risolvere quest’ altro tranello!
Altro punto chiave per la longevità del gioco era la questione di “catturare” (catch! no take!) il pesce, metterlo nel vaso (con l’acqua, per non farlo morire!) e quindi esaminarlo nel punto giusto del gioco altrimenti ogni tentativo di andare avanti risulta inutile e si continua a girovagare per il gioco inutilmente senza speranze!
Insomma, a questo gioco devo davvero molto dato che mi ha permesso di iniziare ad avvicinarmi all’inglese “serio” ancor prima di cominciarlo a studiare a scuola.
Ricordo che fui uno dei pochi fortunati all’epoca a cui l’inglese veniva insegnato già in quarta elementare e che una volta la maestra si complimentò dicendo che conoscevo un sacco di parole e con orgoglio le dissi che era perchè facevo i giochi in inglese sul commodore 64!
Se per caso vi è venuta voglia di provarci anche voi, potete scaricare un emulatore sul pc (vi consiglio questo mio articolo che ho scritto sull’altro mio blog dedicato all’elettronica embedded e alla programmazione) e quindi scaricare l’immagine rom del gioco da qui.
Notate che il gioco si intitola, in realtà “Aztec Tomb (pt.1)”, il che fa supporre l’esistenza di una parte 2, come si evince anche dalla schermata finale del gioco:
La parte 2 dovrebbe essere il gioco “Aztec Tomb Revisited” (qui la rom), che inizia appunto dall’interno della tomba azteca che avete appena raggiunto:
Ma sinceramente? Non mi piace affatto: gli scenari di gioco hanno perso tutto il loro fascino e la maggior parte dello schermo è occupato da informazioni inutili come l’inventario (che nella parte 1 veniva richiamato con “inventory”).
Nel video seguente ho fatto uno “short-play” per far vedere come si gioca e come è facile morire se non si sta attenti:
Bernardo Giovanni